Clamoroso: "Pantani è stato ucciso
Clamorosa risvolta nelle indagini sulla morte del "Pirata" Marco Pantani. La Procura di Rimini ha infatti accolto l'esposto della famiglia riaprendo il caso: la nuova ipotesi è omicidio con alterazione del cadavere e dei luoghi.
La clamorosa ipotesi di reato è contenuta in un fascicolo della Procura di Rimini a distanza di oltre 10 anni dalla morte del ciclista più amato e più rimpianto del mondo del ciclismo.
La notizia è destinata a fare il giro del mondo, il 14 febbraio 2004 a Rimini qualcuno avrebbe assassinato il Pirata. E' questa l'ipotesi accolta dalla Procura, e per questa ragione il caso è stato riaperto dalla stessa che all’epoca aveva condotto le indagini arrivando a definire l’accaduto un semplice incidente, causato dall’overdose di cocaina.
Una conclusione mai andata giù dalla famiglia del ciclista che ha sempre rifiutato questa ipotesi, specie da mamma Tonina che non ha mai smesso di lottare, chiedendo nuove indagini. La svolta tanto attesa è maturata negli ultimi nove mesi: l’avvocato Antonio De Rensis, per conto dei Pantani, ha accumulato una serie impressionante di contraddizioni e anomalie, studiando i faldoni sia delle indagini, sia quelli relativi al processo. Non solo, il salto di qualità è arrivato con fondamentali indagini difensive riascoltando diversi testimoni chiave dell’epoca, e avvalendosi di una perizia medico-legale eseguita dal professor Francesco Maria Avato, lo stesso che ha contribuì a far riaprire dopo 23 anni il caso Bergamini, il calciatore "suicidato".
Tutto questo lavoro è stato poi assemblato in un esposto presentato la settimana settimana alla Procura di Rimini, che ha competenza sull’accaduto, con richiesta di riaprire il caso sulla base dei molti fatti nuovi contenuti nelle pagine dell’istanza, arrivando così ad una conclusione shock: omicidio e alterazione del cadavere e dei luoghi.
Accolta subito la richiesta, segno che le ipotesi sono state considerate talmente credibili da meritare tutti gli approfondimenti possibili e quindi nuove indagini, con accuse di omicidio volontario a carico di ignoti. Il fascicolo è stato assegnato dal procuratore capo di Rimini, Paolo Giovagnoli, a un pubblico ministero titolare: Elisa Milocco, giovane sostituto procuratore, arrivato a Rimini da pochi mesi. Toccherà a lei far luce su quello che è accaduto il 14 febbraio 2004 all’interno del residence Le Rose.
Lo scenario prospettato dalle nuove indagini è da brividi: gli ultimi minuti di una vita intensa il Pirata li passa in una stanza d’albergo, ma non è da solo, come fino a oggi ha affermato la verità processuale, e in preda alle allucinazioni per l’overdose letale di cocaina. Le cose sarebbero andate in modo completamente diverso: Pantani avrebbe aperto la porta al suo assassino (o agli assassini), lo conosceva, forse si fidava. Ma presto la situazione sarebbe diventata incontrollabile. Per ben due volte il romagnolo chiama la reception, chiedendo addirittura l’intervento dei carabinieri, un doppio SOS prima ignorato e poi sottovalutato, e documentato e appurata anche 10 anni fa. La lite verbale sarebbe presto degenerata, sfociando in un’aggressione. Pantani potrebbe essere rimasto ferito in più punti del corpo, prima di soccombere: stordito, sarebbe diventato una preda facile.
A questo punto manca solo il colpo finale. Chi lo pensa non è uno sprovveduto: avrebbe sciolto la cocaina nell’acqua contenuta in una bottiglia per poi far bere al Pirata la dose mortale con un bicchiere. Una bottiglia semivuota che resta nella stanza: la si vede chiaramente nel filmato girato nel 2004 dalla polizia. Solo che quella bottiglia non è stata mai analizzata, così come incredibilmente non furono prese le impronte digitali in tutto l’ambiente nonostante la presenza di un cadavere eccellente riverso in una pozza di sangue e di una stanza rivoltata come fosse stata travolta da un uragano. Ma torniamo indietro: la morte del ciclista risale a molto prima dell’ora di pranzo, ma è "scoperta" solo la sera all'ora di cena. Un tempo lungo e pieno di ombre, ore di buco che avrebbero permesso in tutta calma l’alterazione della camera presa in alloggio dal Pirata, in modo da simulare un delirio post assunzione di stupefacenti. Insomma, un depistaggio per celare l’omicidio.
Questa era l’ipotesi contenuta nell’istanza presentata da una mamma (Tonina) e un papà (Paolo) che da sempre chiedevano giustizia per il figlio. Emblematica è la storia dei tre giubbini da sci trovati all’interno della stanza di Pantani. Il Pirata arriva a Rimini senza bagaglio: con sé ha solo una sportina con dentro le medicine (quelle che prenderà anche la mattina del 14), due magliette, l’occorrente per fare la barba e un borsello con soldi e documenti. Nessuna valigia, trolley o borsa. Un fatto confermato, anche all’epoca delle indagini, da quattro persone che non si conoscono. I giacconi sono certamente di Pantani: li va a prendere a casa sua il 26 gennaio. In quei giorni aveva deciso di andare a sciare con il marito della Ronchi (la sua ex manager). Per questa ragione torna a Cesenatico e si fa aiutare dalla mamma a fare la valigia: "Vado in montagna qualche giorno", le dice. Ma poi si limita a prendere tre giubbotti, molto pesanti. "Le altre cose le noleggio sul posto" risponde Marco all’obiezione stupita della madre per i pochi indumenti presi. Il 31 gennaio, Pantani a Milano ha una lite con la Ronchi e i genitori arrivati dalla Romagna dopo una chiamata allarmata della donna. E’ l’ultima volta che vedrà la mamma e il papà. Marco scappa e si rifugia in un hotel dalle parti di piazza Repubblica. Non ha valigie, tantomeno tre ingombranti giubbotti. Il 9 febbraio decide di andare a Rimini. La Ronchi gli fa recapitare la sportina in albergo a Milano con le medicine, le magliette e la schiuma da barba. E’ il "bagaglio" caricato dentro il taxi che lo condurrà fino in Romagna. E allora come ci sono arrivati nella stanza i tre giubbotti? Uno di questi (vistoso e molto pesante) è appeso fuori dall’armadio con la sua gruccia: lo si vede anche nel video della polizia. Qualcuno li ha portati fino a Rimini. Sarebbe stata una domanda da porsi 10 anni fa e invece nulla. Una domanda che mamma Tonina ha ripetuto con ossessione, lo ha persino urlato durante una udienza del processo a Carlino e lo ha ribadito di recente nel libro scritto sul figlio (In nome di Marco, edito da Rizzoli). L’esposto ha riproposto il quesito in modo ineludibile: le nuove indagini serviranno a dare risposte. Certo, questo passo getta di riflesso una luce inquietante sulla morte, a soli 34 anni del campione di Cesenatico.
Le indagini svolte all’epoca, stranamente chiuse in poche settimane, e il successivo processo avevano portato alla conclusione più semplice, troppo rapida e forse anche banale: Pantani stroncato da una overdose di cocaina, i pusher accusati di spaccio di droga e omicidio colposo. Tutto fin troppo semplice forse .E invece pochi giorni dopo la vittoria al Tour de France di Vincenzo Nibali, è ancora il giallo il colore d’attualità. Solo che in palio non c’è una maglia prestigiosa, ma la ricerca di una verità diversa da quella raccontata nel 2004.
Tutti gli sportivi, i tifosi, e coloro che lo amavano si chiedono che sia accaduto in quel maledetto 14 febbraio? Chi e perchè avrebbe ucciso Marco Pantani? Come mai, nonostante una serie d’incongruenze, gli inquirenti non presero in considerazioni altre ipotesi, etichettando da subito il caso come una semplice "morte per overdose"? Si parte da qui, ma questa volta la strada non è più in salita.
Tutti noi adesso aspettiamo delle risposte, le giuste risposte che merita un campione, ma soprattutto un uomo che non c'è più, che ha dato la sua vita (e forse l'ha pagata) per il ciclismo e per trasmettere emozioni agli altri, ai suoi tifosi.
Pantani merita questo, merita giustizia!
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